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ARMAROLI GEMMO MAIER

FIGURE(S) A TRE

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Press Release

Prodotto da Dodicilune, distribuito in Italia e all’estero da Ird e nei principali store online da Believe, venerdì 9 febbraio esce “Figure(s) a tre”. Il progetto discografico nasce dalla collaborazione tra il vibrafonista Sergio Armaroli, la pianista Francesca Gemmo e il contrabbassista Giovanni Maier.

«L’infinito musicale di Sergio Armaroli sta in quattro parole: dettagli, improvvisazione, microcosmo e gioco. L’infinito come lo pensava Béla Bartók, che ritraeva nello stesso tempo l’uomo e le sue ombre. Avvistando nell’incontro speculare tra alba (qui, le note pungenti del vibrafono di Armaroli e quelle cristalline del pianoforte di Francesca Gemmo) e tramonto (la timbrica scura e legnosa del contrabbasso di Giovanni Maier) il brulicare della vita microcosmica. È l’infinito di György Kurtág, che con l’opera “Játékok” (Giochi), piega alla propria fantasia un’immagine del suono che sta in un divertimento», sottolinea il pianista, giornalista e critico musicale Davide Ielmini nelle note di copertina. «Cosa fa un bambino quando vede per la prima volta un pianoforte? Prima ci appoggia un dito e poi l’intero palmo fino a pestare più tasti possibili. Non studio, ma esplorazione. Accade in questo disco che, ispirato a “Giochi”, allinea un trio capace di confrontarsi con una musica che si astrae da sé stessa fino a diventare suono fuso in purezza. Senza cedere alle troppe allusioni a ciò che è stata o sarà. A-tematico, il percorso di Sergio Armaroli – che sfrutta le potenzialità cosmiche di pochissime note raccolte in microcellule – si costruisce attraverso dodici “figure” nelle quali l’improvvisazione e la “quasi scrittura” (nella definizione del vibrafonista) diventano estetiche. E i dettagli si scoprono lentamente nel divenire di una relazione quasi atemporale fra i tre artisti. Se ne ricava una musica che “somiglia ad un mondo chiuso, quasi autoreferenziale, ma che vive di una propria libertà all’interno di un contesto preciso. Non si tratta di eclettismo ma di cercare un dialogo, di ricostruire una memoria musicale lavorando su timbrica e densità armonica”. Quindi, questo lavoro è “quasi un gioco”. Di dissolvenze, spazi aperti e pause lunghe, prova di fisica umana e prova di materia degli strumenti, gestualità (l’attacco ai tasti, i colpi e le cavate) e riscoperta di una interiorità che sembra trovare la sua sintesi in una intuizione di Giacinto Scelsi: “Il suono è sferico”».

Davide Ielmini

La poetica di Sergio Armaroli abbraccia molteplici ambiti espressivi alla costante ricerca di un’unità dell’esperienza. Si dichiara pittore, percussionista concreto, poeta frammentario e artista sonoro oltre a fondare il proprio operare all’interno del “linguaggio del jazz” e dell’improvvisazione totale come “estensione del concetto di arte”. Concentrato su una scrittura diffusa, consapevole di essere produttore “di-segni”, dove l’invenzione verbale è “gesto poetico”, nella vita è costretto a uno sforzo pedagogico costante. Con l’etichetta Dodicilune, Armaroli ha pubblicato, tra gli altri, “Prayer and request” (2010) e “Vacancy in the Park” (2015) con Axis Quartet, “Early Alchemy” (2013) un solo di marimba, “Tecrit” (2014) con Riccardo Sinigaglia (santur elettrico, flauti barocchi ed elettronica), “Micro and More Exercises” (2016) e “Deconstructing Monk in Africa” (2021) con Giancarlo Schiaffini, “Structuring the Silence” con Fritz Hauser (2017), “From The Alvin Curran Fakebook – The Biella Sessions” con il quartetto guidato da Alvin Curran, “To play Standard(s) Amnesia” con il suo quintetto e Billy Lester (2017), “Lux Ferrari Exercises d’Improvisation” con Giancarlo Schiaffini, Walter Prati e Francesca Gemmo, “Close (your) Eyes Open Your Mind” con Walter Prati, “Trigonos” con Andrea Centazzo e Giancarlo Schiaffini (2018), “TrioPlusTrio” con Giancarlo Schiaffini, Walter Prati, Roger Turner, Chris Biscoe e John Pope e “Meeting for two” con il pianista statunitense Billy Lester (2020), “Monkish (’round about Thelonious)” di Armaroli – Schiaffini 4tet (2022), “Vibraphone solo in four part(S)” (2023).

Francesca Gemmo è pianista, compositrice e didatta. L’attenzione a percorsi di sperimentazione e improvvisazione ha favorito la sua collaborazione con autorevoli artisti (Sergio Armaroli, Alvin Curran, Brunhild Meyer Ferrari, Steve Piccolo, Walter Prati, Giancarlo Schiaffini ed Elliott Sharp). Ha suonato in Italia e in Europa (Sale Apollinee di Venezia, Centre Le Phenix di Friburgo, Konzerthaus di Weimar, Fondazione Mudima di Milano, Museo del Novecento di Milano, Teatro Arsenale di Milano, Area Sismica). Alcune sue composizioni sono state eseguite in prima assoluta da Divertimento Ensemble, Irvine Arditti, Trio Matisse, Luca Avanzi, Sergio Armaroli e Sergio Scappini; altri lavori le sono stati commissionati da autorevoli interpreti come Magnus Andersson e Daniel Kientzy. Ha pubblicato diverse partiture (Salatino Edizioni e Berbèn), ha scritto diversi saggi di argomento musicale e didattico (Tangram Edizioni Scientifiche, Padus Edizioni). È tra le fondatrici dell’associazione Città sonora. Oltre alla partecipazione in vari progetti, per Dodicilune ha pubblicato l’album solista “Ad libitum” (2019) e “Contours” con Daniel Kientzy (2020).

Giovanni Maier nel 1988 si diploma in contrabbasso al Conservatorio “Giuseppe Tartini” di Trieste. Dal 1989 ad oggi ha partecipato (anche con gruppi guidati da lui stesso o in solo) a svariati jazz festival in tutto il mondo (Francia, Jugoslavia, Cecoslovacchia, Grecia, Macedonia, Germania, Austria, Belgio, Slovenia, Finlandia, Croazia, Svizzera, Tunisia, Spagna, Inghilterra, Canada, Giappone, Olanda, Danimarca, Norvegia, U.S.A., Turchia, Giordania, Brasile). Ha inoltre suonato con molti musicisti di fama internazionale come Enrico Rava, Gianluigi Trovesi, Cecil Taylor, Anthony Braxton, Keith e Julie Tippett, Louis Moholo, Roswell Rudd, Franco D’Andrea, Tim Berne, Chris Speed, Benny Golson, Willem Breuker, Tristan Honsinger, Massimo Urbani, Giancarlo Schiaffini, Antonello Salis, Maria Pia De Vito, Claudio Roditi, Richard Galliano, Ellen Christi, Herb Robertson, Guido Mazzon, Tony Scott, Roberto Ottaviano, Hamid Drake, Alexander Hawkins e molti altri. Inoltre ha fatto parte di numerose formazioni, importanti nel panorama jazzistico internazionale: Enrico Rava Electric Five, Italian Instabile Orchestra, Nexus, Gianluigi Trovesi nonet, Roberto Ottaviano Eternal Love, Enten Eller, Pino Minafra Sud Ensemble e altri. Ha partecipato a svariate trasmissione radiofoniche e televisive, anche presso importanti emittenti, come la Rai.

Track List

1 – Figure #13

2 – Figure #14

3 – Figure #15

4 – Figure #16

5 – Figure #17

6 – Figure #18

7 – Figure #19

8 – Figure #20

9 – Figure #21

10 – Figure #22

11 – Figure #23

12 – Figure #24

by György Kurtág

13 – Mottò [from Jatekok] 14 – Prelude and Waltz in C

15 – Little Chorale

16 – Hommage à Bartok

17 – Beating

18 – Bells for Margit Màndy

19 – The very last conversation with Làszlò Dornyei

All compositions by Sergio Armaroli except 13-19 by György Kurtág

Personnel

Sergio Armaroli • vibraphone

Francesca Gemmo • piano

Giovanni Maier • double bass

Recording Data

• PRODUCTION DATA

Total time 52:24 STEREO DDD

(p) 2024 DODICILUNE (Italy)

(c) 2024 DODICILUNE (Italy)

www.dodicilune.it

CD DODICILUNE DISCHI Ed551

8059772565516

• RECORDING DATA

Produced by Sergio Armaroli and Maurizio Bizzochetti, Dodicilune

Recorded 1, 2 May 2023 at Artesuono Recording Studio, Tavagnacco (Ud), Italy

Mixed and mastered July 2023 at Artesuono Recording Studio, Tavagnacco (Ud), Italy

Sound engineer Stefano Amerio

Cover painting by Sergio Armaroli

Photos by Stefano Amerio

Contact: sergioarmaroli.com; sergioarmaroli@libero.it; armarolisergio@gmail.com

• EXTRA NOTES

The Figure(s) can be understood as models or incipits for an improvisation

in the style of each individual melodic shape or figure: flex-horizontal and mobile: “almost like an improvisation”… as Maestro György Kurtag Games…

“quasi una scrittura”: per trio

Registrati in soli due giorni (1-2 maggio 2023) a Tavagnacco (Udine) dalla Dodicilune, questi tre album, pur molto diversi uno dall’altro, simboleggiano alcune delle possibili varianti (e variazioni) intraprese e combinate in duo e in trio da tre jazzisti d’avanguardia e sperimentazione come Giovanni Maier (contrabbasso), Sergio Armaroli (vibrafono) e Francesca Gemmo (pianoforte). Maier è onnipresente, anche in Stringsland a nome di Gemmo (sola in copertina), forse il disco più ostico del terzetto, per via del radicalismo della leader, protesa a tradurre il rapporto con il suono e il tempo in chiavi via via abrasive, dolci e movimentate. Per contro, Figure(s) a due risulta il cd più accogliente per l’ascolto grazie al costruttivo dialogo tra Armaroli e Maier, tradotto in 12 piacevoli original (più India di Coltrane). Infine Figure(s) a tre dimostra le potenzialità del gruppo, tra l’interplay equilibrato e le doti compositive di Armaroli a cui s’aggiungono le partiture di sette brevi pezzi del 98enne compositore ungherese György Kurtag, a sua volta soddisfattissimo del risultato. (Guido Michelone)

«Figure(s) a due» di Sergio Armaroli e Giovanni Maier / «Figure(s) a tre» di Sergio Armaroli, Francesca Gemmo e Giovanni Maier / «Stringsland» di Francesca Gemmo e Giovanni Maier

// di Francesco Cataldo Verrina //

Le produzioni musicali dell’etichetta Dodicilune guardano sovente verso universi lontani ed incommensurabili altre, mettendo a confronto linguaggi, stili e metalinguaggi sonori contigui e distanti dalla tradizionale forma mentis della musica improvvisata ed audiotattile, attraverso un modularità espressiva che tende sistematicamente ad un altrove percettivo. Talvolta l’incontro fra artisti sui generis da vita a forme melodiche ed accordali che oltrepassano perfino l’euro-centrica idea di «terza corrente» muovendosi sia a margine del cultura accademica che della musica sincopata afro-americana; elementi molteplici che si fondono magnificamente in un intreccio politematico che apre nuovi scenari sull’universo della musica contemporanea.

Parliamo di tre progetti interconnessi ad altrettanti musicisti che, pur provenendo da differenti esperienze, trovano un punto di confluenza e di vivibilità musicale all’interno di un’affinità elettiva basata su un equilibrato interscambio di ruoli, talvolta compensatorio e mutualistico, altre volte surrettizio, formale ed estetico, ma quasi sempre di ampio respiro creativo: «Figure(s) a due» del vibrafonista Sergio Armaroli e del contrabbassista Giovanni Maier; «Stringsland» della pianista Francesca Gemmo e di Giovanni Maier e «Figure(s) a tre» di Sergio Armaroli, Francesca Gemmo e Giovanni Maier. Tre lavori di elevata cubatura compositiva, formalmente legati da un fil rouge strumentale, o comunque accomunati dalla medesima tensione ideale ed emotiva. La poetica di Sergio Armaroli abbraccia innumerevoli ambiti espressivi permanentemente alla ricerca di un’unità esperienziale. Egli si dichiara pittore, percussionista concreto, poeta frammentario e artista sonoro agendo all’interno del linguaggio jazzistico e dell’improvvisazione tout-court, quali estensioni del concetto di arte. Giovanni Maier contrabbassista, orientato all’ottenimento ed al rggiungimento di un differente nucleo gravitazionale dello scibile sonoro, dal 1989 ad oggi, ha partecipato (anche come band-leader) a svariati jazz festival in tutto il mondo collaborando in studio con musicisti di fama planetaria. Francesca Gemmo, pianista, compositrice e didatta, è balzata all’attenzione grazie ad i suoi lunghi percorsi di sperimentazione e improvvisazione tensioattiva che ne hanno favorito la collaborazione con autorevoli artisti italiani ed internazionali.

«Figure(s) a due» di Sergio Armaroli e Giovanni Maier

«Figure(s) a due» di Armaroli e Maier è ispirato da due dischi ben precisi, pur non essedone una copia speculare o una riproposizione pedissequa: «Tenderness» e «Divine Gemini», incisi nel 1977 dal vibrafonista Walt Dickerson insieme al bassista Richard Davis. Soprattutto, ciò che risalta dopo un’attenta analisi, è la presenza del Coltrane legato alla sua fase free-form. Si ha come l’impressione che il sassofonista abbia travasato i propri precetti e talune intuizioni nel vibrafono di Dikerson, il quale si esprime attraverso i cosiddetti sheet of sound che emergono in maniera stratificata emettendo grappoli verticali di note che fuoriescono copiose dal suo metallofono. Tutto ciò rappresenta l’humus su cui Armaroli e Maier avrebbero impiantato il loro costrutto concettuale coerente innestandolo su dodici «figure» basate su due chiavi, quella di violino e quella di basso. Se si considera l’aspetto minimale di due strumenti percussivi e microtonali, i quali solitamente si esprimono «sottovoce» e in maniera felpata, l’effetto è strabiliante e ricco di sfumature, mentre le varie tracce sono foriere di una compiutezza sonora sorprendente. I due sodali sembrano avvinghiarsi costantemente in maniera serpentina intelaiando un ordito rimico-armonico che favorisce un interplay costante, dinamico ed incentrato su una libertà espositiva non comune. L’esperienza ed il lascito coltraniano, unitamente al perforante sperimentalismo indagante e deflagrante di Dickerson consentono ad Armaroli e Maier di agire e di interagire sulla scorta di piccoli e reiterati lampi di genio, immersioni e riemersioni che non perdono mai il legame con realtà, bypassando il virtuosismo dimostrativo e calligrafo. «L’obiettivo del disco è essere presenti a sé stessi. E ritrovarsi per condividere quel messaggio di unione nel quale si riconobbe Coltrane», precisa Armaroli.

«Figure(s) a tre» di Sergio Armaroli, Francesca Gemmo e Giovanni Maier

La confluenza di tre stili musicali sviluppa costantemente una sorta di gioco di ruolo, dove intima concupiscenza e l’azzardo improvvisativo, finiscono per confluire sistematicamente al medesimo nucleo gravitazionale. Le dodici «figure» collocate in un iperspazio, mediamente impalpabile, sposano i precetti i Béla Bartók, frutto del pensiero laterale, tra demonio e santità, fra luci ed ombre, inquietudini umane e sovrumane, unitamente all’esperanto sonoro di György Kurtág, che con «Játékok» (Giochi) sposta l’idea del suono e del suonare in una dimensione altra, la quale, in alcuni frangenti, regredisce all’infanzia riconquistando purezza ed innocenza, se non altro oltrepassa le sovrastrutture e le infrastrutture. Nel caleidoscopico trittico, il mallettare siderurgico di Armaroli s’imbatte nelle flusso adamantino delle note della Gemmo, a cui fanno eco le ruvide cavate di Maier. Nel rapporto a tre si ristabilisce la circolarità di un sound progressivo che si tritura in maniera quasi dematerializzata, mentre il costrutto si sfilaccia lentamente per poi ricomporsi. I tre musicisti appaiono come microentità autarchiche e separate, apparentemente autonome ed autosufficienti, le quali hanno, però, bisogno di un reciproco e mutuo apporto per «sopravvivere» e dare consistenza e garantire gli alimenti al parenchima sonoro. Tra libertà, fughe, ritorni di fiamma, dialogo e «trialogo» si avverte una costante riediting mentale delle linee espressive e delle «figure», ossia una configurazione del modulo jazzistico nell’accezione più larga del termine, che potremmo definire «JazzArte» e dove la risultante complessiva è sempre superiore alla somma delle singole individualità.

«Stringsland» di Francesca Gemmo e di Giovanni Maier

È lavoro moderato e coraggioso al contempo, a tratti sornione. Francesca Gemmo si muove con agile compostezza fra le note del pianoforte senza mai tradire la propria libertà espressiva a vantaggio del devozionismo tributaristico. Undici composizioni originali, tutta farina del suo sacco. Il cifrario espressivo della pianista si basa su un costante desiderio di diversità melodico-armonica, che si rigenera ad ogni cambio di passo e di mood. La Gemmo procede sovente per sottrazione abbandonando l’ascoltatore in un’aura di sospensione, dove l’imprevedibilità diventa la dinamo che alimenta l’intero impianto sonoro, in cui la complicità del basso di Maier risulta fondamentale e piacevolmente complice. «La terra delle corde» è un titolo apparentemente ambiguo ma, in realtà, alle quattro robuste stringhe del contrabbasso si aggiungono le vibranti corde del pianoforte, a tratti suonato in maniera arpeggiante e su un registro molto più alto, pungente ed acuto rispetto a quello del mastodonte di Maier, il cui apporto accodale risulta nitido e distintivo, mai appannato e subissato dallo strapotere del pianoforte. Tra tempi moderati e brevi interpunzioni, quella della Gemmo si sostanzia come una narrativa catartica e liberatoria, locupletata da un suono ipermodale, transgenico ed abrasivo: «Elle Di Esse» ha un sapore vagamente ancestrale, mentre «Attesa» si staglia in maniera frastagliata nelle torve spire di una habitat surreale, brunito e notturno. «Naturale» è un peana alla scioltezza, quasi privo di vincoli armonici. «Tickling Attila» rappresenta un inno al contrabbasso, mentre «Simon and Sunniva», dai cromatismi onirici e sospesi, sembrerebbe ispirato da «Il racconto del mozzo» di Karen Blixen.