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Phil Minton

Giancarlo Schiaffini

Roger Turner

I DREAM I WAS AN EAROPEAN

LINER NOTES by Brian Morton

LIVE CONCERT _______________________________________________

In process of stocking* "Only ghosts don’t make footfalls (another Beckett title!) that we can hear, don’t need to open and close doors to effect passage. These men together are enacting over a longer duration a strong sense of life- as-lived. They …

(from liner notes by Brian Morton)

 

Graphic Design by@Ester Greco

REVIEW | RASSEGNA STAMPA

In collaborazione con/ In collaboration with:

  review by Marc Medwin

  2023-08-27

In his always insightful notes, Brian Morton chooses breath as the point of focus around which he discusses these improvisations by vibraphonist Sergio Armaroli in the company of trombonist Giancarlo Schiaffini, vocalist and trumpeter Phil Minton and percussionist Roger Turner. Yes, breath is paramount to the winning combination of whimsy, wisdom and virtuosity expected from this assemblage, and it plays one of the subtlest roles imaginable on the very first and fairly brief improvisation. Amidst Turner and Armaroli's interplay, Minton draws breath, a couple times only, but the gesture is as poignant as any he has ever committed to tape. Like those Samuel Beckett vignettes Morton evokes as indicative, a whistle, tone or pithy tintinnabulation can speak volumes.

This overarching concern leads me to think not so much of breath as of size. When we hear a voice like Minton's, which regularly emits multiphonics, the entire hierarchy depicted by any perceived grouping of forces is obscured, even irradicated. Each musician in this supposed quartet accomplishes similarly defiant modes of perception-bending. Vibes and trombone combine tonal felicities, or maybe the same thing happens between voice and trombone, both in multiphonic mode. Even a single pitch, like the one Minton emits as "Dream I Was a Laysure" slides and sputters into focus, rings with overtone as wah-wah trombone and percussive shades swim and pulse around it.

So what sort of an aggregate is this anyway? Are we hearing duos, or trios, or the ideal quartet in the tightest chamber-music focus? Of course, the correct answer is: all of the above. That wonderfully diverse thing that we used to call European free improvisation has morphed into and beyond its components. Sonic atoms jump and punch, vying for prominence while beneath and around them, note and drone define and elongate the spaces they never quite fill, so beautifully transparent is the playing. Of course, the fact that several partnerships are long-nourished, especially Minton and Turner's ever-fascinating ventures, but if this superb quartet has recorded together, I've never heard it. It should go without saying, given the label, that the recording is equal to any of the music, full and transparent when necessary. As the ensemble grows, morphs and fades, each detail is foregrounded without any sacrifice of ambiance. Beyond all that, it's great fun, right down to the track titles!

Un disco a suo modo "perfetto," questo di Sergio Armaroli, che si circonda di abituali e splendidi collaboratori come Giancarlo Schiaffini e Roger Turner, vi aggiunge un monumento dell'improvvisazione come Phil Minton, e con loro esegue nove sue composizioni nelle quali l'improvvisazione la fa da padrona.

La "perfezione" sta soprattutto nelle individualità, anzi nei colori e nelle espressività che ciascuna di esse porta in dote: due percussioni timbricamente opposte e dalle invenzioni complementari, il vibrafono di Armaroli e la batteria di Turner, e due fiati altrettanto opposti e complementari, il trombone "parlante" di Schiaffini e la voce "concertante" di Minton, che qua e là mette pure mano alla tromba. Assieme, i quattro compongono una formazione ideale per dar vita a situazioni sonore libere e dialogiche, all'insegna dell'espressività e del contrasto timbrico.

Così, dopo una prima breve traccia tutta dominata dalle percussioni e che ha quasi il senso di un'introduzione, già in "Bullett -Inher" si ascolta una lenta e intima meditazione dialogata tra il trombone, che borbotta scure note basse, e la voce che ansima e singulta, andare avanti a lungo sospesa sulle cristalline note del vibrafono e i rumori di fondo prodotti da Turner, per poi impennarsi dinamicamente con drammatici vocalizzi, prima di concludersi quietamente.

I sette brani che seguono sono variopinte variazioni del medesimo tema: il fischiettare di Minton di contro al mugugnare di Schiaffini in "Wing -Pseudostylic"; il litigioso dialogo tra i due, illuminato dai lampi del vibrafono, in "Dream I Was A Laysure"; la meditazione drammatica sulle note lunghe del brano che titola l'album; il contrappunto tra i piatti di Turner e le lamine di Armaroli in "Song -Landscape"; la concitata corsa collettiva che apre "Future -Diasporation," per poi condurre il lavoro a una calma conclusione. Ciascun brano ha una propria fisionomia, un suo percorso sonoro, costellato di invenzioni espressive; ciascuno prende senso dallo sviluppo che i suoni descrivono, interagendo, e dalla scena sonora che viene dipinta dal loro scintillare.

Lavoro da ascoltare con calma, ponendo massima attenzione ai dettagli e alle raffinate forme espressive.

Pur partendo da presupposti totalmente differenti, in questi due lavori Armaroli propone approcci e chiavi di lettura possibili a delle for- me di improvvisazione prevalente- mente non idiomatica. Nel disco in quartetto (registrato da Stefano Amerio con la consueta perizia e cura del suono) Armaroli consolida il legame con Schiaffini, stabilendo una proficua interazione con due esponenti dell’improvvisazione radicale inglese come Minton e Turner. Da questa dialettica scaturisce un lavoro meticoloso sul suo- no, basato su un’amplissima gamma timbrica e dinamica. L’azione unitaria, paritetica del quartetto favorisce l’efficace analisi di ogni singola cellula. Schiaffini modella e plasma la voce dello strumento con l’ausilio delle sordine, fungendo da alter ego di Minton, autore di un incredibile campionario di invenzioni timbriche: sequenze di respiro ritmato, ansimante; borborigmi; rantoli; stridori; gemiti; giochi ritmici ad incastro. Un’esplorazione estenuante di risorse recondite, in cui ogni fonema assume una valenza specifica. Da parte sua, Turner agisce in funzione prevalentemente coloristica, spesso su tempo libero, avvalendosi anche di oggettistica varia per integrare il contributo del vibrafono. Il duo con Parker è stato invece concepito in maniera del tutto eterodossa. Infatti Armaroli ha interagito a distanza con il collega inglese, allestendo sei episodi per vibrafono intitolati Two Rooms, One Vibraphone. Ne ha poi inviato le registrazioni a Parker, sollecitato a replicare con degli assolo di soprano, denominati Interlude, in una sorta di chiamata e risposta a distanza. Nel primo brano il vibrafono sfoggia sprazzi squisitamente jazzistici, richiamando Bobby Hutcherson, ma anche Walt Dickerson, David Friedman e Bobby Naughton. Parker risponde con segmenti spigolosi, spirali corrosive e timbriche vetrose, taglienti. Laddove, come ad esempio nel secondo e terzo episodio, Armaroli tende a costruire delle stratificazioni recanti tracce di minimalismo, Parker reagisce imbastendo il consueto labirinto fatto di linee ipnotiche prodotte mediante la respirazione circolare. La sesta e ultima sezione di Two Rooms, One Vibraphone dura molto di più delle precedenti (ben 26’ e 49”) e mette in mostra prima un fraseggio asimmetrico, disarticolato, vagamente monkiano; poi un crescendo spiccatamente jazzistico; infine, delle sequenze essenziali, basate su cellule tematiche. Un percorso strutturato e variegato, cui Parker non ha ritenuto di dover aggiungere nulla. Come recita il vecchio proverbio, «Un bel tacer non fu mai scritto».

Enzo Boddi