a cura di Gabriele e Raffaele Simongini
Franco Simongini – L’atto poetico di documentare l’arte
INDICE
Uno sguardo pluralista 7
Gabriele Simongini
Il cinema è mio padre. 13
Conversazioni con Franco Simongini
Raffaele Simongini
ARTE 51
Artisti
Breve ma veridica storia della pittura moderna e
contemporanea attraverso la macchina da presa
di Franco Simongini
Sergio Armaroli
In ricordo di Franco Simongini
Enzo Cucchi
A proposito del cinema di Franco Simongini
Piero Dorazio
Franco Simongini. L’arte di documentare l’arte
Antonio Passa
Angeli felici sospesi / nel verde e nell’azzurro
/ spinti dal vento orvietano
/ o da un indocile candore
Achille Perilli
Franco Simongini ed io siamo stati veri amici
Attilio Pierelli
Franco Simongini, l’Alberto Manzi delle arti visive
Mario Sasso
Storici dell’arte
Simongini, l’arte in presa diretta
Renato Barilli
Per Franco Simongini:
una televisione di formazione e senza pregiudizi
Achille Bonito Oliva
Ricordando un custode della memoria
Maurizio Calvesi
Il documentario, fonte autorevole per l’arte
Maria Vittoria Marini Clarelli
Racconti di racconti
Federica Pirani
Simongini e de Chirico
Mario Ursino
Un regista perfettamente liberale
Federico Zeri
CINEMA & COMUNICAZIONE
Registi
Franco Simongini: filmando trasparenze
Gianfranco Angelucci
Problemi del documentario d’arte
Luca Verdone
Esperti di mass media
La sfida del documentario d’arte
Alberto Abruzzese
Ciao Franco
Maurizio Costanzo
Uno sguardo alternativo
Maria Paola Orlandini
LETTERATURA
Arno Balsamo Fino
Carlo Betocchi
Poesie per gli Angeli
Carlo Bo
Elegie romane
Mario Luzi
Franco Simongini poeta
Dante Maffia
Per Franco Simongini, in memoria
Walter Mauro
INTERVISTE
Giorgio de Chirico e il mistero dell’infinito
interviste e poesie a cura di Franco Simongini
Giorgio de Chirico ’77
intervista di Franco Simongini
Colloquio tra Franco Simongini
e Renato Guttuso, tratto dal documentario
“Natura morta con peperoni” (1975)
CARTOLINE 209
BIOGRAFIA & DOCUMENTARI 221
Biografia ragionata di Franco Simongini
Schede informative sulle principali serie
di programmi realizzati da Franco Simongini
ed elenco dei documentari
Breve ma veridica storia della pittura moderna
e contemporanea attraverso la macchina
da presa di Franco Simongini
Sergio Armaroli
I. Il corpo dell’artista nella cucina dell’arte
(come imparai a dipingere grazie alla televisione)
Nato nei primi settanta scopro l’occhio di Franco Simongini molto presto.
Mi riferisco agli ultimi lavori documentaristici a partire dal 1986: Schifano,
Dorazio spiega Dorazio, Salvatore Fiume ed altri. Frequentando il liceo artistico
di una piccola città della provincia italiana, che per pudore non intendo
nominare, scopro l’arte moderna e l’opera di Marcel Duchamp. Come
molti mi rispecchio, nei pieni ottanta, nel “cono d’ombra” della televisione,
nelle notti Rai e marginalmente nello sguardo divergente dell’arte contemporanea
attraverso la macchina da presa di Franco Simongini. Ricordo il
fascino esotico di quelle “prime visioni” vissute come il grande privilegio
“di poter vedere” l’artista all’opera nello studio di fronte alla tela e ai materiali
dell’arte. Ritornando con la memoria a quell’esperienza non posso
non pensare, oggi, al cinema del contatto di Jean Rouch (che avrei studiato
molti anni dopo all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano); un toccare
con mano, attraverso l’occhio, il processo di creazione dell’opera e la sua
attualizzazione in una realtà, quella vissuta da me allora come assolutamente
marginale e apparentemente priva di reale significato. La sensazione di
appartenere, grazie alla televisione, ad una comunità artistica virtuale; un
primo passaggio verso il villaggio globale dell’arte contemporanea.
Come in un processo di compensazione, nel rifiuto dell’arte come semplice
artigianato (avrei voluto “tagliarmi le mani da pittore” citando il grande
anartista anti-francese Marcel Duchamp) avanzava in me la necessità di
costruire su solide basi, proprio con le mani, una tecnica e una capacità
reale di pensare e praticare l’arte. Posso dire di avere imparato una tecnica,
forse la Tecnica, grazie alla televisione di Franco Simongini.
Ricordo di aver visto per la prima volta un artista all’opera grazie alla serie
diretta da Franco Simongini intitolata “Artisti d’oggi” [che conservo gelosamente in vecchie videocassette VHS registrate] ed in particolare una:
quella del 26 settembre del 1988 dedicata a Enzo Cucchi.
Poter osservare, in presa diretta, la mano del pittore che traccia, corregge e
costruisce il segno – come “il mare, in un getto di catrame” poeticamente
inteso dall’artista con estrema naturalezza nel proprio studio – mi darà
l’impressione di una presenza concreta e, attraverso l’osservazione e l’imitazione,la sensazione di stare a bottega: di una rinnovata bottega televisiva edi un nuovo rinascimento. [Ricordo che, deciso a ri-vivere quell’esperienza unica di visione, mi cimentai nella realizzazione di un mio personalissimo “mare di catrame” nell’unico spazio per me disponibile (uno studio?): all’epoca si trattava solo del terrazzo di casa].
La visione documentaristica di Franco Simongini è stata un grande esercizio
di immaginazione al punto che il mio primo studio, se di studio si è
trattato, è nato su immagine e somiglianza di quello che avevo visto nelle
immagini girate da Simongini che oggi posso comprendere nel loro reale
valore poetico e documentario: un cinema verità straordinariamente intimo
e raffinato.
Solo un poeta, come Franco Simongini, avrebbe potuto dialogare, anche
visivamente, con quella profondità di visione e con quegli artisti.
Posso dire di aver imparato a dipingere, in senso vero e contemporaneo, e
successivamente di aver smesso, e di aver ripreso a pensare e praticare l’arte
in un senso più esteso grazie, anche, al modello Simongini. Un modello di
opera d’arte totale: nella visione dei documentari di Simongini ho compreso,
inconsciamente, l’unità inscindibile delle arti. La televisione, quando è
visione, attiva un processo sinestesico in cui i linguaggi si uniscono in un
modello unitario. Franco Simongini ha forse compreso inconsciamente e curato una ferita, un vulnus in arte, che è quello del mestiere riscoprendo una bottega ideale attraverso il mezzo televisivo […penso alla pratica della pittura, per esempio, al mestiere di pittore che in Giorgio de Chirico ha trovato un difensore ed un traditore nello stesso tempo...]. Dal mio marginalissimo punto di vista, ho potuto colmare quel vuoto e allo stesso tempo confrontarmi con il mestiere in modo lucido e distaccato, grazie al lavoro in atto nelle immagini di Franco Simongini: posso dire che la televisione è stata la mia prima bottega.
Forse si è trattato di un miraggio o di un complicatissimo passaggio storico
ma le immagini di Simongini sono state un modello fondamentale ed
una struttura operativa della mia immaginazione e della mia tecnica. Io
dipingo ancora oggi idealmente all’interno di un documentario di Franco
Simongini; il mio cavalletto è sistemato nel mio “studio” come quello di
Giorgio de Chirico mentre dipinge Sole sul cavalletto con grande ironia.
La memoria di una pratica lenta, come quella della pittura, che ancora oggi
mi sembra difficilissima da comprendere se non guardando quelle semplici
immagini che raccontano tutto e spiegano tutto in una semplice visione
in atto: la messa in scena dell’atto artistico dove, da una parte il lavoro
dell’artista non è mai esibito ma colto nel suo segreto fatto di quotidiana
pazienza e, dall’altra, il silenzioso e prudente sguardo di Simongini, quello
dello spettatore-poeta che interroga e contempla e allo stesso tempo formula, nel dialogo quasi socratico, la domanda per indurre, nello spettatore
a formulare un’ipotesi di risposta, che trova nel gesto dell’artista una sua
concreta realizzazione: posso dire così che per molto tempo, negli anni
della mia formazione, l’occhio di Franco Simongini è stato anche il mio
sguardo sull’opera e sul processo creativo. Avevo capito, forse ingenuamente,
come si poteva rompere Il grande freddo (citando un film dimenticato di
Alberto Grifi) indotto dalla tela bianca.
II. La macchina da presa mobile e lo sguardo dialogante
di Franco Simongini
Nello sguardo di Simongini non c’è mai un tentativo di prevaricazione
ma, viceversa, il motivo di una vicinanza sentita con l’artista scoprendo,
con la messa in scena, l’invisibilità del corpo dell’artista che nascosto dietro
l’opera si cela, mascherandosi. Franco Simongini mette in mostra l’artista
durante il processo di creazione dell’opera senza un intento esibizionistico
o performativo ma con un’autentica intenzione conoscitiva. È l’occhio del
poeta che indaga una realtà misteriosa all’interno di un processo alchemico
come quello della nascita dell’opera d’arte. L’artista è guardato ma allo
stesso tempo guarda noi, ci interroga e ci suggerisce. Lo spettatore è parte
dell’opera e la televisione diviene così uno strumento di conoscenza. Forse
l’utopia tradita di Simongini è stata quella di permettere una partecipazione
attiva attraverso la televisione – e questo si inserisce in un grande
processo democratico che il nostro paese ha vissuto a partire dai primi anni
’60 – grazie alla visione “in presa diretta” della nascita dell’opera d’arte
come immaginario condiviso forse pensando, in questo modo, di veicolare
attraverso l’arte ed il suo fare un senso più esteso del vivere il mondo e
dell’abitarlo democraticamente.
III. Artisti con la macchina da presa.
Un esempio paradigmatico: Mario Schifano
A titolo di esempio riporto, come traccia sensibile, alcune sensazioni provate
ri-guardando il film, perché l’unità visionaria è quella propria di un
film, dedicato a Mario Schifano del 1987. Credo che questo sia un esempio
paradigmatico del modo di girare di Franco Simongini in relazione al
significato dell’opera e dell’artista. Il corpo di Mario Schifano è il protagonista
che, specchiandosi nell’intimo sentimento paterno verso il figlio, si
avvicina quasi a toccare lo schermo. In questo “toccare” vi è, in sintesi, un
processo metaforico di trasformazione della vita in arte e dell’arte nella vita
come atto totale di libertà.
Annoto in modo disordinato: “…l’occhio di Simongini perlustra, con intima
vicinanza, il corpo ed il gesto di Mario Schifano come in un rito di
avvicinamento al corpo dell’artista dove la presenza e l’ingombro del corpo
sono fondamentali; è il muovere la macchina da presa attorno all’opera nello
spazio e con l’occhio del riquadro televisivo in espansione dentro cui Mario
Schifano compie una danza e fotografa continuamente in un continuo guardare e guardarsi attraverso il gesto quale sintesi dello stile…”.
“… la polaroid come secondo occhio in contrappunto dialettico con la macchina da presa. L’immagine che si viene a creare in un modo fluido, continuo dove è evidente il legame intenso con il senso del lavoro di Mario Schifano che ingloba dentro di sé il flusso televisivo dove è Franco Simongini,
con assoluta leggerezza a scrivere per immagini un saggio esemplare sul e con il lavorio disordinato e logico dell’artista… essere dentro il gesto artistico,
uniti in un respiro unitario: dentro lo schermo televisivo e verso la vita”.