Exclusively Distributed by

Vibraphone Solo in four part(s)

Improvvisando senza programma alcuno Sergio Armaroli in Vibraphone Solo in Four Part(s) (Dodicilune) fa un passo importante verso l’individuazione dell’area della nuova musica. Che ovviamente non è un’area chiusa e anche definirla è più o meno un arbitrio. Comunque Armaroli sta tra le onde del post free (con ricordi di Hutcherson e Teddy Charles) e della contemporanea storica, ma ci sta trovando una rotta tutta sua di dolcezze/intimismi tutti sprigionati da un pensiero rigoroso, senza cedimenti.

Mario Gamba, Alias/il manifesto

sabato 30 dicembre 2023

REVIEWS

Vibraphonist, Perkussionist, Komponist, Lehrer und Gesamtkünstler – das ist Sergio Armaroli. Er brilliert auf der aktuellen Veröffentlichung mit einem vierstimmigen Solo. Für den einen oder anderen Hörer mag das Vibrafon – es gehört wie Schlagzeug und Marimbafon zur Familie der Schlagwerke – ein eher sprödes Instrument zu sein. Zugleich ist es im Jazz und auch in der klassischen Gegenwartsmusik eher ein „Außenseiter-Instrument“. Daran ändern auch die Vibrafonvirtuosen Lionel Hampton, Milt Jackson oder Gary Burton nichts. Selbst bei Einsatz des Pedals hat das Spiel auf den metallenen Klangstäben keinen vollen Nachhall. Kurz mit den Schlägeln angetippt entwickeln die Klangstäbe nur einen kurzwelligen Ton. Zudem klingt er nicht abgerundet, sondern eher spitz und metallisch, also eher nach Industrial Noise. Doch hier und da scheint es auch eine Ähnlichkeit zu den Tönen zu geben, die auf einer Glasharfe zu erzeugen sind. Und wer bei dem Klang an das Brechen von Eisflächen oder Eiszapfen denkt, liegt nicht gar so falsch, oder?

Nun also liegt ein Soloprojekt vor, das gänzlich auf ein Lamellophon fokussiert ist. Der Vibrafonist findet für seine Musik und Spielweise nachfolgende Worte: „ … Ich erlaube mir, mich in jeder möglichen Note zu verlieren und mich dann in einem schillernden harmonischen Feld wiederzufinden, in Bewegung: wahrscheinlich, imaginär. Ich konstruiere Sätze im Dialog mit mir selbst: andere, aber immer innerhalb des Instruments, das mich begleitet….“ Übrigens Jazz begreift  Sergio Armaroli als "eine richtig experimentelle Haltung“. So sind auch die vorliegenden Aufnahmen Klangcollagen und nicht auf die Schönheit der Melodie ausgerichtet. Eher spürt man in den verschiedenen Teilen des Gesamtwerks, ein Suchen, ein Versuchen, ein Probieren, ein Verwerfen und ein Annehmen. Dabei entstehen durchaus Klangbilder, die an Stromschnellen erinnern, an Kristallines und Prismatisches, so wie wir das beispielsweise in den malerischen Arbeiten Lyonel Feiningers entdecken können.

Das, was wir hören, scheint reine Improvisation und aus dem Moment geboren. Dabei ergeben sich durchaus Linien und verbundene Kettenglieder des Klangs. Tänzerisches scheint in die Tonsilben-Bündelungen einzufließen, so auch im ersten Teil der Solopräsentation. So hat man beim Hören das Bild vor Augen, eine Primaballerina würde im Spitzentanz über die Bühne huschen oder auf einer Treppenstraße oder Stuttgarter Stiege unterwegs sein. Ein anderes Bild, das sich beim Hören aufdrängt, sind fallende Dominosteine oder auch ein Bündel von Klangstäben, die der Wind zufällig in Schwingungen bringt. Doch dem Zufall überlässt der Vibrafonist gewiss nichts, wenn er denn im Verlauf der Solostücke ein perlendes Spiel an den Tag legt, wenn er Klangkaskaden erzeugt, wenn er rasch Klangtropfen an Klangtropfen fügt oder einen Vorhang rieselnder Tonsilben schafft. Tieftöniges ist dabei eine Seltenheit. Diskantes hingegen drängt sich nachhaltig auf.

Wir werden Zeuge einer Klangarchitektur, die mit Klangsäulen experimentiert. Teilweise gibt es Anlehnungen an Sphärisches, ohne Ambient Music zu präsentieren. Der erste Teil der Solopräsentation ist im Übrigen nicht frei von redundanten Formen. Gelegentlich muss man beim Zuhören an den Klang eines fein gestimmten Glockenspiels denken. Schlägel-Turbulenzen sind ohne Frage wahrzunehmen. An ein Kirchenlied oder eine Ballade in modernistischem Gewand erinnern Teile des zweiten Solos. „Springende Klänge“ machen Teil des Vortrags aus. Kristallines Blop und Blonk dringen ans Ohr des Zuhörers. So wie das Rattern eines Zugs über die Bahnschwellen einen spezifischen Klang besitzt, so ist auch der Klang des zweiten Solos. Beim Hören fallen dem einen oder anderen u. U. Assoziationen zu einer Achterbahnfahrt ein. Momente von Geschwindigkeit scheinen mit ihm Spiel zu sein, Bewegung ohne Frage, so wie sie auch die italienischen Futuristen in den ersten Dekaden des 20. Jahrhunderts in Bildformen brachten. Kontemplatives ist fern. Es ist im Spiel nachhaltig ein Vorwärts zu identifizieren. Beinahe nahtlos schließt sich das dritte Solo an. Dabei scheint es so, als würden Mosaike an Mosaike gesetzt. Nur Farbvariationen unterscheiden die gesetzten Fragmente. Im Verlauf des Solos muss man vermehrt an Wasserspiele mit unterschiedlich hoch schießenden Fontänen denken. Zugleich suggeriert das Klangbild, dass die Klänge kaskadierend wie Wasser von einer Terrasse auf die nächste fließt. Eher mit landwelligen Klangbildern wartet schließlich das vierte Solo auf.

© ferdinand dupuis-panther

Solitario e raccolto, ma di tono più aperto, è poi Vibraphone Solo in Four Part(s) (Dodicilune) di Sergio Armaroli, quanto mai prolifico in questi anni

Alberto Bazzurro

“Euritmia del possibile” e ancora “campo armonico cangiante, in movimento: probabile, immaginario”: potremmo ritenere quanto sopra espressioni pittoresche nonché eccentriche, non fosse che possiamo considerarci avvezzi alla fluviale capacità discorsiva del vibrafonista, esteta, autore ed insomma artista plurimediale Sergio Armaroli.

A seguire una già nutrita serie di produzioni, ed in contemporanea ad ulteriori novità, peraltro molto diversificate, il presente “Vibraphone solo in four part(s)” lo vede per la prima volta concentrato sul proprio strumento a lamine, cui devolve una sorta di riflessione (se non di saggio), ed in cui non potremmo escludere anche una componente confessionale. “Il solo è anche una dimensione confessionale, di confessione ed introspezione, e per questo motivo chiedo una grande disponibilità e pazienza da parte dell’ascoltatore che è complice di questa mia solitudine e urgenza” come apprendiamo dal concorde commento di Armaroli.

Inoltre: “Un album in solo nasce sempre da una necessità molto personale, intima e privatissima; soprattutto dopo una ricerca più che ventennale attraverso e con il vibrafono, lo strumento che mi ha accompagnato in tutti questi anni e che meritava un focus speciale, un punto d’arrivo o meglio: un approdo momentaneo. Così nell’aprile passato, dopo un lungo periodo di studio e di solitudine, mi sono ritagliato una giornata solo per me con il mio vibrafono e nient’altro, quasi in un voler ‘mettersi alla prova’ – una prova di contatto e non di bravura s’intende, una prova di esistenza concreta e reale invece, partendo da una domanda fondamentale, dimenticando così tutto ciò che si è imparato nel tempo e semplicemente ‘stando’ con il proprio strumento: in solitudine”.

La quadripartita sequenza apre su un esteso passaggio (che da solo avrebbe conferito contenuto e ragioni ad un lato di un vecchio LP), per il quale le dimensioni introspettiva e confessionale, come nelle premesse, sembrerebbero calzanti ma non esaustive nel connotare tratti più estensivi e quanto meno polistilistici lungo una fluente esternazione idiomaticamente affrancata dai rigori rispetto ad un inquadrabile canone formale. È piuttosto al jazz ‘stricto sensu’, oltre che in parte old-fashioned, che penseremmo nella fruizione del secondo passaggio (#2), increspato da gorghi ritmicamente animati e spesso di tratto swingante. In parte sulla falsariga del precedente si articola il terzo passaggio (#3, o nuovamente anonimo) di passo più trattenuto ed in apparenza segnato da più ‘impasses’ di progressione, quasi una sessione onirica agitante.

Ancora di grande estensione il quarto e conclusivo passaggio (#4), aprente su una materia più acquea ma aggregantesi su trama aperta e con incedere ondivago, tornando a suggerire uno dei caratteri discorsivi e figurativi del Nostro quali la dimensione labirintica.

Dovessimo ricercare nella discografia all’incirca contemporanea una qualche analogia, il primo ricorso andrebbe pressoché naturalmente al ponderoso album “Maquishti” della vedette Patricia Brennan, ma se ne rileverebbero soluzioni ben distintive, e se nel più esteso programma della solista messicana predomina la diversificazione di mood, servita da ricerca nella coloristica spettacolarità, fino ad artifici elettronici, è palese e dominante nella prova in solo dell’artista milanese una dominante austerità e un differente investimento artigianale nel cimento con lo strumento, eminentemente auto-centrico e investente (come nelle note) su un articolato dialogo interiore, non potendosi escludere implicazioni, oltre che confessionali, auto-disciplinari ed auto-analitiche.

Ed è nei sensi di quest’ultima grande, anzi sterminata cultura che ancora torniamo alla dimensione del labirinto, di nuovo nelle parole di Sergio Armaroli: “Labirintico come conseguenza di un intrecciarsi di pensieri, atti, gesti… ma confesso anche di perdermi spesso nel labirinto, trovando soluzioni possibili anche se non credo di essere andato oltre un istinto che mi ha sempre accompagnato dall’inizio, unito a un piacere della ricerca e della scoperta dentro e con il suono. L’uscita dal labirinto è forse la soluzione, sempre rimandata ma attesa come uno stato quasi miracoloso di illuminazione sonora e spirituale. Per ritornare sempre a una dimensione più quieta, ragionevole, borghese come questa nostra conversazione … e la soluzione, se vuoi, è l’ascolto e il riconoscersi nel dialogo.”

di Alessandro Nobis

“Introspezione”. È la prima parola alla quale ho pensato appena finito di ascoltare questo disco in “solo” del vibrafonista Sergio Armaroli registrato nel 2022 e pubblicato dalla Dodicilune, un musicista il cui interesse si muove attorno al jazz, alla musica contemporanea, alla sperimentazione ed alla creazione istantanea come testimonia la sua discografia delle sue più recenti frequentazioni: dalle composizioni di Monk alle collaborazioni con Schiaffini, Curran, Prati e Centazzo per citarne alcune.

Questo “Vibraphone solo in four part(s)” come si evince facilmente dal titolo è un percorso di ricerca in completa solitudine che Armaroli ha compiuto con il suo strumento, un viaggio in quattro tappe che attraversa il quotidiano non solo nei suoni più reconditi del vibrafono ma anche dentro sè stesso, introspettivo appunto.

La costruzione delle quattro tracce è una creazione spontanea e il poter riascoltare il processo di concretizzazione delle idee dà l’esatta percezione non solo della tecnica e della conoscenza delle potenzialità del vibrafono ma anche della visione musicale “solistica” che Sergio Armaroli ha pensato lasciando a sè stesso la più totale libertà mentale e quindi creativa. Dal vivo sarà tutto diverso, come si conviene ………..

Non è certo uno dei dischi più facili da ascoltare prodotti dall’etichetta pugliese · tra le più attive ed attente al panorama jazz e dintorni italiano · , non ci sono melodie da seguire o assoli da apprezzare, ma per questo di certo è uno dei più interessanti perchè consente di apprezzare uno strumento e la musica che ne scaturisce in tutta la sua purezza e bellezza.

I registri del vibrafono

di Guido Michelone

Il vibrafono, metallofono "inventato" nel jazz da Lionel Hampton e circoscritto a Milt Jackson, Gary Burton, Bobby Hutcherson, Stegon Harris e altri rari solisti, torna con tre dischi che confermano la peculiarità di un suono adattabile a qualsivoglia registro moderno.

L'italiano Sergio Armaroli con Vibraphone Solo in Four Part(s) (Dodicilune) in completa solitudine edifica, come egli stesso afferma "frasi in dialogo con me stesso" per narrare una ricerca lungo quattro poetiche improvvisazioni.

[tratto da "Alias/il manifesto" di sabato 29 aprile 2023]

Concludo con un’opera , esempio abbastanza raro, nella quale lo strumento a lamelle è protagonista unico. Ne è autore Sergio Armaroli vibrafonista, percussionista, compositore attivo in ambito jazz e classico con propensione alla sperimentazione, leader dell’Axis Quartet e molto attivo anche in campo teatrale, letterario e figurativo.

“Vibraphone solo in four part(s)”. (Dodicilune) contiene un solo per vibrafono in quattro parti che propone un racconto racchiuso nell’unità temporale di una intera giornata, tra mattino e pomeriggio. Una conversazione con se stesso, nella quale le doti tecniche di Armaroli sono poste al servizio di uno svolgimento che alterna parti materiche ed oniriche, dinamismo e stasi, a sottolineare le diverse parti, fisiche e mentali della giornata, fino alla progressiva cessazione rappresentata dall’affievolirsi dei rintocchi.

andbar

Package chic, ma grafica essenziale perché è bene .. pensare la musica: con il corpo! Il progetto solista di Sergio Armaroli dimostra in 4 brani (con minutaggio assai variabile, passando dai 5 minuti e mezzo agli oltre 23) che la nostra vita non è scandita da ritmi ossessivi, industriali, uniformi .. se lo vogliamo! Dentro il disco leggiamo la sua affermazione chiarificatrice .. Attraverso la giornata: tra mattino e pomeriggio. Come se scrivessi alcuni appunti di diario .. Vibrafonista, percussionista, compositore, didatta e artista totale, Sergio Armaroli (con studi al Conservatorio Verdi di Milano, ma anche all’Accademia delle Belle Arti di Brera) pubblica Vibraphone solo in four part(s) con la attiva e coraggiosa etichetta leccese di Maurizio Bizzochetti. E’ un disco che ha un lento divenire, ma ricorda anche le lunghe suite compositive degli anni’70 ed in tutti i generi musicali: prendiamo come ad esempio Thick as a brick dei Jethro Tull, dove Ian Anderson con il suo flauto ritorna nell’intero album a riproporre un tema, pur senza uscire dalla lunga elaborazione artistica. Questo diventava ostico da comprendere quando avevamo a disposizione solo il vinile del 33 giri e quindi l’unico brano era diviso a metà tra side A e side B. La fortuna per Sergio Armaroli è di vivere nel Terzo Millennio e quindi non è costretto a dividere la part I ed il primo “quadro” del suo progetto si completa in 23 minuti e 30 secondi. Prima di riprendere ad ascoltare il disco, l’occhio ritorna sulle sue parole di presentazione .. Da dove sono alloggiato, con alcuni amici che conoscono il mio segreto, mi avvicino allo studio di registrazione e preparo il mio strumento con i piedi. Camminando la musica: euritmia del possibile. Improvvisando da un canovaccio della vita. Solo ne approfitto per “parlare con me”. Non ho un piano definito e mi permetto di perdermi in una qualsiasi nota possibile per poi ritrovarmi dentro un campo armonico cangiante, in movimento: probabile, immaginario. Costruisco frasi in dialogo con me stesso: Altro, ma sempre stando dentro lo strumento che mi accompagna. Così mi trovo a raccontare “in parti”: alla ricerca .. il jazz è un’attitudine propriamente sperimentale che ha assoluta necessità di essere raccontata ..

In un momento diverso, Armaroli ha anche dichiarato di suonare da solo per dimenticare se stesso: questo ci porterebbe sia a ragionamenti filosofico/religiosi, ma anche ad apprezzare ulteriormente l’emozione che questo disco mi ha creato. E’ infatti evidente (forse anche grazie al suono particolare del vibrafono) che si cerchi di raggiungere uno stato di pace, quasi di trance! Le emozioni sono garantite, perché sincronicamente esistenti in uno spazio tempo che in questo disco non conosce confini e limiti. Si espande …

Giancarlo Passarella

Posted On18 Agosto 2023