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Deconstructing Monk in Africa

Prodotto da Dodicilune distribuito in Italia e all’estero da IRD e nei migliori store on line da Believe Digital,martedì 12 gennaio esce "Deconstructing Monk in Africa". Giancarlo Schiaffini (trombone) e Sergio Armaroli (balafon cromatico, water drum, calebasse, talking drum, mbira, shaker(s), bull-roarer, percussion), autentici maestri dell'improvvisazione e collaboratori di lunga data, propongono una suite di quasi un'ora nella quale l’improvvisazione fa da raccordo tra Thelonious Monk, l’Africa e la musicacontemporanea europea. 

«Da Monk - che Schiaffini nel corso della sua carriera ha interpretato nei modi più diversi, dei quali qui si ritrova qualche memoria - i due hanno ripreso una decina di blues, usandoli soprattutto come pretesti, ispirazioni ideali di un percorso musicale tutto loro; dall’Africa hanno tratto alcuni ritmi e molteplici tipi di strumenti perlopiù percussivi (balafon, tamburi vari, mbira), utilizzati però in modo tutt’altro che africano, con sonorità nitide», sottolinea Neri Pollastri. «La componente contemporanea sta nel progetto stesso, trasversale e di ricerca, ma si fa palese nella base registrata che funge da terza voce, alternando suoni elettronici, canti, estratti di composizioni, altre percussioni che dialogano con quelle dal vivo. Il tutto, appunto, è legato dall’improvvisazione, che i due sviluppano dialogando sulle basi e lasciandosi trasportare dalla libera - talvolta liberissima - interpretazione dei temi monkiani. L’esito è sorprendente: una suite di quasi un’ora, nel corso della quale - quasi senza soluzioni di continuità - vengono inanellati temi come Straight No Chaser e Blue Monk, Misterioso e Something in Blue. Monk appare - citato ora dai toni acuti dalle percussioni, ora da quelli scuri del trombone - per poi scomparire: trasfigurato dai suoni registrati che, senza essere mai invadenti, lo trasportano in luoghi onirici, talvolta in un’Africa immaginaria, talaltra in spazi siderali evocati dall’elettronica; oppure assorbito dalle improvvisazioni del trombone, il cui canto borbottante è a sua volta in magico equilibrio tra l’Africa e la Mitteleuropa», prosegue il critico musicale. «Un Monk e un’Africa singolari, quindi: all’inizio spiazzanti, poi via via sempre più in sintonia tra loro; a momenti ipnotici, in virtù del reiterarsi dei temi e della voce meditativa del trombone; in altri invece rasserenanti, per la nitidezza dei timbri e degli impasti; comunque sempre spontanei, quanto lo è il dialogo che intrattengono il trombone e le percussioni - o, meglio, Schiaffini e Armaroli - quasi fossero vecchi amici che d’Africa e di Monk parlino assieme, con chiarezza e profondità. Ascoltarli è una gioia».

«La musica africana, oltre ai noti elementi ritmici, ha con il jazz altre caratteristiche comuni, come l'aspetto decisamente responsoriale e una certa ripetitività», sottolineano i due compositori e musicisti nelle note di copertina. «Di Monk abbiamo voluto scegliere i Blues, curiosamente tutti nella tonalità di Si bemolle, spesso formati di un nucleo tematico semplice, con ampi spazi di respiro tipici del carattere africano del Jazz», proseguono Schiaffini e Armaroli. «Una semplicità che a volte sconfina in un primigenio minimalismo che mai si riduce a una semplice ripetitività. Abbiamo scelto un organico strumentale falsamente etnico (balafon, mbira, talking drum e altro) in dialogo con il trombone, cercando un senso a questo divagare tra paesaggi sonori primari e motivi melodici segreti. Il lavoro improvvisativo si dipana quindi come una terza via fra i temi monkiani, quasi mai citati direttamente, e il flusso acusmatico preregistrato».

Track List

1 - Deconstructing Monk in Africa

Compositions by

Giancarlo Schiaffini, Sergio Armaroli

Personnel

Giancarlo Schiaffini - trombone

Sergio Armaroli - balafon cromatico, water drum, calebasse, talking drum, mbira, shaker(s), bull-roarer, percussion

Recording Data

Total time 58:41 STEREO DDD

(p) 2021 DODICILUNE (Italy)

(c) 2021 DODICILUNE (Italy)

www.dodicilune.it

CD DODICILUNE DISCHI Ed502

8033309695020

Produced by Maurizio Bizzochetti, Gabriele Rampino by Dodicilune • Artistic production by Giancarlo Schiaffini, Sergio Armaroli • Label manager Maurizio Bizzochetti (www.dodicilune.it) • Recorded, mixed and mastered 11, 12 May 2019 at Il Pollaio, Ronco Biellese (Bi), Italy • Sound engineer Piergiorgio Miotto • Cover/back paintings by Sergio Armaroli • Photos by Roberto Masotti • Scores by Giancarlo Schiaffini • Contact: www.giancarloschiaffini.com; www.sergioarmaroli.com

Extract score by Giancarlo Schiaffini, 2019

Sergio Armaroli alle percussioni e Giancarlo Schiaffini al trombone

Teatro Tertulliano, Milano, 19 ottobre 2019

Photo by ©Roberto Masotti

L'INTERVISTA | di Paolo Carradori

recensioni | reviews

di Mario Grella

C’è un sottile e misterioso filo che lega indissolubilmente le culture tribali africane e le avanguardie artistiche. In arte, quel filo prese le forme della cosiddetta “Art Négre” che legò, per esempio, un artista come Amedeo Modigliani all’arte tribale. Ma fitti legami formali corrono anche tra l’arte africana primitiva e moltissimi altri artisti della prima metà del Novecento, a cominciare dal mostro sacro di tutte le avanguardie, ovvero Pablo Picasso, ma certamente non furono immuni da questa forte e significativa contaminazione, artisti come Matisse, Braque, Giacometti, Brancusi, Arp e tanti altri. Anche le avanguardie musicali hanno un debito di riconoscenza con l’Africa, a cominciare dal jazz naturalmente, e non solo per motivi puramente anagrafici, ma anche per motivi strettamente concettuali. Dovremmo necessariamente partire da qui per commentare un lavoro assolutamente straordinario comeDeconstructing Monk in Africa del duo (che sembra in realtà essere una intera orchestra), formato da Giancarlo Schiaffini al trombone e Sergio Armaroli a tutto il resto, ovvero balafon cromatico, water drum, calebasse, talking drum, mbira, shaker(s), bull-roarer, percussioni. 

Il disco è uscito a gennaio per l’etichetta Dodicilune, una suite della durata di un’ora dove, partendo dal raffinato dadaismo jazzistico di un mostro sacro come Thelonious Monk, i due musicisti decostruiscono un percorso, fatto di citazioni coltissime, ritmi primitivi e ancestrali, blues, sequenze, accenti rallentati, sonorità libere e rumoristiche. Quasi una carta topografica sonora che ci porta attraverso un’Africa simile a quella di Raymond Russell che ebbe l’ardimento di intitolare il suo romanzo più famoso “Impression d’Afrique”, scritto col metodo dell’omofonia della frasi. Ecco anche Deconstructing Monk in Africa è in realtà una “impression d’Afrique” e non una Africa vera. Ed in questo risiede la genialità dei due musicisti, quella di aver trovato una chiave di lettura “non mimetica” di interpretazione dei ritmi tribali, proprio sulla scorta della capacità ironico-compositiva di Thelonious Monk. E allora se non siamo al capolavoro, poco ci manca. Basta incominciare ad ascoltare questa meraviglia per non riuscire più a discostarsi da essa: un “labirinto neandertale” dentro la sonorità primigenia, intrapresa da due musicisti che sembrano aver sciacquato i loro panni nel Reno di Darmstad, magari dopo aver incontrato Ligeti e Stockhausen; e in effetti Giancarlo Schiaffini, non solo li ha incontrati, ma li ha anche frequentati e questo incontro non poteva che lasciare un segno indelebile, come fu anche  quello con lo straordinario gruppo Nuova Consonanza in quegli incredibili anni che furono i Settanta. L’accoppiata con Sergio Armaroli è straordinaria, nel segno della sperimentazione più coraggiosa e vista la provenienza dal “free” di quest’ultimo: “artista sonoro” come ama definirsi, ha prodotto la soave, impetuosa e minimale tempesta perfetta che costituisce questo lavoro. Un discorso a sé andrebbe fatto per l’elettronica, usata in maniera magistrale, senza prevaricazioni, senza i soliti esorbitanti frastornamenti. Potremmo dire “un’elettronica parca” che sembra essere nata nei recinti dei villaggi africani, insieme ai latrati del trombone, al puntillismo del vibrafono e alle improvvise rincorse e alle decelerazioni bulimiche di certe composizioni di Monk. Due musicisti con due curriculum “da paura” che non vogliono addomesticare il suono e nemmeno vogliono farsi addomesticare da esso. Concedetevi un’ora in un altro mondo, un viaggio fuori dal comune, non c’è bisogno di autocertificazioni, di passaporti, solo di coraggio mettendo da parte il pregiudizio e facendovi trasportare dal cuore e dalla mente. Musica “sconfinata”.

sabato 6 febbraio 2021

Infine Deconstructing Monk in Africa (Dodicilune) di Giancarlo Schiaffini e Sergio Armaroli vede il trombone in duo con tante percussioni per destrutturare il bebop di Thelonoius onde scoprirne le radici africane, puntando sull'improvvisazione radicale mentre alcuni nuclei tematici si ispirano al blues.

Guido Michelone

Déconstruire Thelonious Monk est une activité qui demande beaucoup d’attention et de précision, beaucoup d’amour pour la musique du pianiste également. Il y a plusieurs façons de s’y prendre : en jouant ses standards comme on démonte une mécanique de précision pour la transformer et la confronter à son propre langage ; c’est Braxton ou Ran Blake, c’est Von Schlippenbach ou Lacy. Et puis il y a cette approche insolite d’immerger des citations de Monk dans une œuvre contemporaine, baignée d’intentions spectrales, comme pour transporter Thelonious dans une autre galaxie sans le transfigurer ou le perdre, comme une fragrance qui se rappelle à nous et infuse tout le reste, comme ce « Misterioso » joué à la façon d’une pluie fine d’automne par le balafon de Sergio Armaroli qui vient briser les incessants jeux de coulisses de Giancarlo Schiaffini. Ce n’est qu’un instant, un point de bifurcation, tout comme l’est l’usage de « Straight, No Chaser » au terme du premier quart d’heure d’une méthodique réflexion d’une heure à peine. C’est le trombone lesté de sourdine qui l’annonce, comme on se libère d’un mantra ou d’une obsession, au milieu des talking drums et de toutes sortes de percussions africaines.

On connait l’appétence des deux musiciens pour la musique contemporaine. Pour le label Dodicilune, qui accueille ce magique Deconstructing Monk in Africa, ils avaient déjà enregistré des hommages à Alvin Curan ou à Luc Ferrari. On pense souvent à ce dernier dans la lente progression du propos du duo, qui s’est inspiré de la musique traditionnelle africaine pour construire cette œuvre ; c’est notamment le cas au centre du morceau, alors que le trombone de désagrège dans une nappe d’électronique instable pour revenir plus incarné dans une vision de « Blue Monk ». Habituellement vibraphoniste, Armaroli s’est entouré de nombreux instruments originaires de Côte d’Ivoire qui s’immiscent comme autant de transverses dans les lignes sinusoïdales du trombone. Dans cette improvisation marquée par des étapes et des points de repères - les titres de Monk -, ce sont les caractères spécifiques aux traditions africaines (appel/réponse, usage mélodique des instruments rythmiques, polyrythmie, etc.) qui s’emparent de la musique du pianiste. Et même si les percussions à clavier peuvent suggérer le piano par instants, en dehors des schémas habituel.

Monk l’Africain, le parti pris était osé. Que les rhizomes africains soient indubitables, c’est l’evidence [1], mais ici, dans une collation de l’évitement et de la suggestion, cette hybridation ne semble appartenir à aucun monde, et partant de ce constat ne cherche qu’à en bâtir un nouveau. Le pari est réussi car il s’affranchit de tout décorum, voire de jeu référentiel à qui que ce soit. Certes, le trombone de Schiaffini peut jouer dans une esthétique très jazz lorsque le balafon s’élance dans « Something in Blue » comme une réminiscence, mais le duo est globalement dans un langage qu’ils ont fait leur, tout au bout de la déconstruction, dans les limbes gazeux qui caractérisent toujours leurs échanges, tel qu’on avait déjà pu l’entendre l’an passé avec Trigonos. Audacieux et iconoclaste, comme on aime.

La Dodicilune ha ampiamente documentato il consolidato sodalizio tra Schiaffini e Armaroli. La loro costante dialettica tra improvvisazione e musica contemporanea ha prodotto esiti fecondi nel triennio 2016-2018. Vanno ricordati, nell’ordine, «Micro And More Exercises», «The Biella Session» e «The Out Off Session» (entrambi sotto l’egida di Alvin Curran), «Trigonos» (con Andrea Centazzo) e «TrioPlusTrio». A questi si aggiungano i più recenti «Duos & Trios» (Leo), con il contributo del sassofonista Harri Sjöstrom, e «inTrasparenza» (DaVinci Classics). Ne risulta un corpus tanto variegato quanto appassionante. Affrontare Monk con i presupposti enunciati dal titolo e con una strumentazione desueta poteva rappresentare un rischio non da poco. Schiaffini e Armaroli l’hanno superato andando a ricercare l’essenza di Monk in un contesto eterodosso dove si conduce un’opera di de-costruzione e ricostruzione senza ricorrere ad africanismi di maniera. Il balafon (antenato dello xilofono) e la mbira (il piano a pollici) hanno infatti la funzione – come del resto tutte le altre percussioni africane qui impiegate – di arricchire la gamma timbrica e coloristica. Al tempo stesso, forniscono un contraltare inconsueto a un trombone che, pur tenendo conto delle avanguardie afroamericane ed europee, rivela a tratti ascendenze ellingtoniane e lascia trapelare echi di New Orleans. In un flusso ininterrotto di oltre 58 minuti, ricco di sfumature timbriche e di iterazioni, Monk affiora qua e là sotto forma di allusioni, richiami e frammenti tematici, con il blues come comun denominatore. Blues Five Spot si materializza attraverso frasi scarne, stilizzate di balafon, poi trasposte in una figura ritmica dai water drums. Il trombone con sordina – integrato da inserti elettronici – accenna e poi gira intorno al tema di Straight No Chaser, per poi sviluppare le premesse di Blue Monk in un suggestivo gioco di chiamate e risposte con il talking drum, il tamburo parlante (o tama in lingua wolof). Il balafon esplora la sequenza iterativa di Misterioso in un processo di accelerazione e decelerazione, moltiplicazione e sovrapposizione. In tal modo, in un contesto singolare ma di rara efficacia, il blues funge da ponte ideale tra il jazz e il suo retaggio africano.

Boddi

Deconstructing one of the original deconstructers of jazz, Thelonious Monk, is no easy task, but the Italian duo of trombonist Giancarlo Schiaffini and percussionist Sergio Armaroli do exactly that on their new album Deconstructing Monk In Africa. It's one of the more unusual releases of late; you'll hear an excerpt from their extended work.

Nella stessa serata, al Garden Stage della Limonaia di Villa Strozzi (ore 19.30), Giancarlo Schiaffini & Sergio Armaroli Duo: “Deconstructing Monk in Africa”. Schiaffini, uno dei senatori del jazz italiano, ma con lunghi trascorsi anche nel campo della contemporanea alle prese, insieme al virtuoso di vibrafono Sergio Armaroli, con una originalissima rivisitazione delle musiche immortali di Thelonious Monk.

Photo by © Alessandro Botticelli